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RIPARTIAMO DALLA TERRA…DAI VIGNETI CA’ DU FERRA’!

Viticoltura eroica… perché proprio il nome Cà du Ferrà… quante cose ci incuriosiscono prima di questa partenza!

E allora, stavolta di domenica, partiamo alla volta di Bonassola, provincia di La Spezia, in Località San Giorgio. Nel 2000 inizia l’avventura dei genitori di Davide, la nostra guida di oggi; da un lavoro dedicato alle costruzioni e all’abbigliamento ad un certo punto i genitori decidono di cambiare vita e dedicarsi all’agricoltura. Acquistano così 4 parcelle enasce un’azienda agricolo/agrituristica che oggi è diventata Cà du Ferrà, azienda BIO certificata, ormai capitanata dal figlio Davide e da Giuseppe.

I terreni dell’azienda comprendono 4 ha frammentati, che racchiudono 11 vigneti diversi ad un’altezza che va dai 50 fino ai 400 mt s.l.m.

Restiamo subito affascinati dalla vista che ci si propone davanti; la baia di Bonassola, un vero “viaggio mediterraneo” come ama descriverla Davide. Da qui, nelle giornate più terse, gli occhi possono riconoscere la punta della Corsica, di Capraia, della Gorgona e dell’Isola d’Elba. Un “viaggio” dalla Toscana alla Francia passando per la Liguria. E lo stesso viaggio vale anche per i vitigni rossi coltivati che abbracciano tutte e tre le regioni: Sangiovese, Ciliegiolo, Vermentino Nero, Syrah, Merlot, Grenache.

Cà du Ferrà si trova tra il “Golfo dei Poeti” e il “Golfo del Tigullio”, più precisamente nella Denominazione Colline di Levanto DOP (la seconda più piccola della Liguria) che comprende quattro comuni: Levanto, Bonassola, Framura, Deiva Marina e conta 5 produttori effettivi.

Da questo punto panoramico scorgiamo alcune delle vigne dell’azienda; a destra la parcella più bassa, 50 mt s.l.m., acquisita solo 3 anni fa ma composta da vigne di 50 anni di uve Vermentino, Albarola e Bosco, che combinate insieme danno vita ad uno dei bianchi dell’azienda: “Bonazzolae”.

A sinistra invece una seconda parcella leggermente più alta coltivata a Vermentino e Bosco.

Già dalle prime parole di Davide si capisce tutta la passione necessaria per coltivare le viti in queste zone, tutta la fatica di quella che è conosciuta come Viticoltura Eroica. Per un momento facciamo un passo indietro ed andiamo a rinfrescare il significato di viticoltura eroica: “una tipologia di coltivazione svolta in condizioni estreme rispetto alla coltivazione tradizionale, in quanto a pendenza altitudine, presenza di terrazze e gradoni”. Direi che siamo nel posto giusto! Cominciamo quindi la nostra salita e subito troviamo la risposta anche alla seconda curiosità, il perché del nome dell’azienda: “Cà du Ferrà”: Casa del Fabbro. Siamo infatti sul sentiero che veniva percorso da muli e cavalli per il trasporto delle merci ed è ancora presente la casa che un tempo ospitava il maniscalco che riparava i ferri dei cavalli mentre i viandanti si rifocillavano alla locanda.

Durante la salita siamo inebriati da tutti i profumi tipici della macchia mediterranea…rosmarino, salvia, aglio orsino, borragine, origano selvatico e chi più ne ha più ne metta.

Il panorama che ci aspetta in cima ci ripaga di tutta la fatica della salita.

Le vigne sono custodite dal “manifesto” di Piede di Corvo, figlio del capo indiano Toro Seduto, ad esprimere la filosofia alla base dell’azienda: “Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro. La nostra terra vale più del vostro denaro. E durerà per sempre. Non verrà distrutta neppure dalle fiamme del fuoco. Finché il sole splenderà e l’acqua scorrerà, darà vita a uomini e animali. Non si può vendere la vita degli uomini e degli animali”.

Entriamo, è appena iniziata l’operazione della sfalciatura, da una parte dei secchi pieni di acqua e barbatelle di vermentino. Ciascuna barbatella sarà piantata, dopo tre anni darà i primi grappoli e dopo altri due sarà pronta per la prima vendemmia.

A guardia dei filari le rose, le sentinelle, utili per il controllo dei parassiti.

Qua troviamo sia le piante di Vermentino che di Albarola e Bosco. Un vero e proprio altipiano a sbalzo sul mediterraneo, sì, perché in realtà si tratta proprio di una placca marina riemersa, sono stati infatti ritrovati resti di conchiglie e altri materiali marini. In questo punto le piante sono sempre cullate dalla brezza che la mattina arriva dal mare e la sera dalla collina. Questo favorisce il mantenimento dei terpeni e quindi di tutti i profumi caratteristici del vitigno. I vini che nascono qua sono infatti caratterizzati da profumi, aromi di frutto, grande eleganza ma anche corpo.

Spiccano le foglie di Albarola, caratterizzate da una forma a cuore, che dona al vino tutta la freschezza.

Il Vermentino invece dà il corpo, gli aromi di frutta e la gran carica minerale che sa proprio di roccia.

Il Bosco viene invece utilizzato principalmente per il passito; come nella DOC Cinque Terre che va a dare origine al famoso Sciacchetrà, qua produce “L’Intraprendente”, un passito in equilibrio fra le note dolci ed acide ed i sentori di frutti gialli canditi.

Siamo finalmente nel punto più alto dell’azienda, a 400 mt s.l.m., dove nasce il secondo vino bianco di Cà du Ferrà:

“Luccicante”, 100% Vermentino, facile capire il perché del nome godendosi lo splendore della baia vista da quassù…

E come Armstrong, mettiamo la bandiera Fisar Prato a sventolare alla brezza ligure per immortalare con una foto la nostra fatica ma soprattutto la nostra gioia!

Ma non è finita, giusto due passi più in là si apre uno “libro” di vera storia, o meglio, un vitigno storico recuperato, fiore all’occhiello dell’azienda: il Ruzzese. E come ogni buona storia che si rispetti, tutto ha inizio quasi per caso.

Succede infatti che Davide e Giuseppe, i titolari dell’azienda vitivinicola, vengono a conoscenza della storia di questo vitigno durante un convegno sui vitigni recuperati.

Questo antico vitigno a bacca bianca è tipico del Levante ligure, dell’area compresa tra Bonassola, le Cinque Terre e i Colli di Luni, ed ha una storia degna di un Re, anzi, di un Papa.

A partire dal VI secolo d.C., il vino Ruzzese dalle coste liguri in cui nasce e si sviluppa, spicca presto il volo, e dalle tavole dei contadini raggiunge Roma, destinato a fare grandi cose. La sua amabilità, la sua forza e struttura sono infatti ben presto apprezzate dai commensali più blasonati. Le sue qualità si diffondono di bocca in bocca, fino a raggiungere il banchetto più ambito: la mensa papale. Si narra infatti che il vino Ruzzese fosse molto apprezzato da Papa Paolo III Farnese, in carica dal 1534 al 1549, e che il suo bottigliere Sante Lancerio, sommelier ante litteram, lo avesse proposto al Santo Padre in qualità di uno dei migliori vini che l’Italia enoica potesse offrire a quel tempo.

Per più di quattro secoli, dalla metà del Cinquecento fino ai primi del Novecento, questo passito di carattere troneggia sulle tavole più importanti, versato non solo nel bicchiere ma anche nel piatto anche dallo stesso Papa che ama degustarlo con un “fico mondato inzuccherato” e quando tira la tramontana anche come “condimento per la zuppa” (v. testo originale a fine articolo).

Ma l’incanto, come spesso accade, a un certo punto svanisce. Verso i primi del Novecento, per il Ruzzese inizia infatti un lento declino che lo porterà via via a scomparire dalle tavole liguri, e non solo, per più di un secolo. La Fillossera, temutissimo insetto che tante vittime dalla foglia stellata miete, colpisce anche la vite Ruzzese, raggiungendo l’Europa dall’America e sterminando interi vigneti e mettendo in ginocchio migliaia di contadini.

La storia vuole che la marchesa di Villa Durazzo di Genova Pegli e Valpolcevera, per lenire le sofferenze dei coltivatori e ristabilire la viticoltura, offrì loro dei tralci di vite trovati in mezzo alla macchia mediterranea, tralci da cui ha origine il vitigno Bosco, che per molto tempo offuscherà la memoria del Ruzzese, sostituendolo per oltre un secolo.

A rinvenire il Ruzzese dal suo passato glorioso, sarà determinante il ruolo della Regione Liguria che intorno al 2007 decide di coinvolgere il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Torino e l’Istituto Nazionale di Protezione Sostenibile della Vite. È così, perlustrano tutto il territorio, proprio qui vicino, nel comune di Arcola, si imbattono in una misteriosa pianta madre, che le analisi genetiche confermano essere proprio lo storico Ruzzese che stavano cercando…quando si dice il fattore “c” …

Ormai appassionati da questa storia di recupero e qualità, Davide e Giuseppe nel 2015 decidono di piantare le prime 77 barbatelle di Ruzzese che in 5 anni diventeranno 1500 fino a ricoprire cinque terrazze a sbalzo sul mare.

Il Ruzzese non ha nessun parente dal punto di vista clonale, è un vitigno unico.

È un vitigno che presenta un grappolo spargolo, acini piccoli e dalla buccia corposa, a scapito della polpa, e ciò lo rende interessante dal punto di vista fermentativo, proprio per ottenere l’ottimo passito.

È un vitigno che non soffre la siccità e mantiene un’acidità straordinaria.

Ha il 25% di resa per grappolo e 230 g di zucchero/litro.

La prima vendemmia è stata nel 2020. Una vendemmia tardiva, cui segue la stesura dei grappoli in cassette della frutta dove l’appassimento durerà circa due mesi e mezzo, da fine settembre a fine novembre, e successivamente la sgranatura manuale. La vinificazione si svolge i primi giorni di dicembre, quando il vino sprigionerà il suo simposio di sapori e profumi.

Il risultante è un vino morbido, carico di zucchero, e, nonostante i suoi 14 gradi, ha una beva facile e sbarazzina.

Non più di poche centinaia di bottiglie, tutte trasparenti e di forma allungata da 375 ml, poi immerse una ad una in una vernice color turchese ed infine completate con una capsula in gomma lacca dello stesso colore.

Non resta che dargli un nome: “diciassettemaggio”, in onore del giorno di nascita di Giuseppe.

Come se fosse poco, Cà du Ferrà non è appassionata solamente di vino ma le viti si trovano circondate da piante da frutto, in particolare 350 piante di more dalle quale nasce una favolosa composta e susini goccia d’oro, quest’ultimi sfruttati tra l’altro per fare come da “ombrellino” alle piante.

E poco lontano la zona dedicata alle arnie delle api che si alzano a 20 mt d’altezza con un raggio d’azione di 2 km e permettono all’azienda la produzione di varie tipologie di miele durante tutto l’anno (Erica, Acacia, Castagno, Corbezzolo, Melata).

Riempiti dalla storia e dal panorama, adesso anche la curiosità di assaggiare comincia a farsi largo e quindi torniamo indietro fino al giardino dell’azienda dove ci attende la nostra degustazione.

In tavola sono già presenti alcuni dei prodotti tipici della zona come pesto, patè di olive, olive leccino e razzola, focaccia ligure, frisceau genovesi con fiori di zucca e con salvia, formaggi della val di vara accompagnati ovviamente dalla composta di more e dal miele dell’azienda.

  • Cominciamo con il primo bianco, nato dall’assemblaggio di uve delle parcelle più basse, fra i 50 e i 200 mt s.l.m., “Bonazzolae” Colline di Levanto Bianco DOP: 65% Vermentino, 35% Albarola, 5% Bosco. Annata 2020. 13%.

Davide ama raccontarlo come un vino verticale, in una continua rincorsa tra freschezza e sapidità. Caratteristica spiccata del vino è la nota iodata.

Si distinguono note di fiori bianchi e gialli tra i quali il gelsomino.

In bocca si ritrovano tutti gli aromi delle erbe aromatiche tipiche della macchia mediterranea che abbiamo incontrato durante il nostro tour, nonché note balsamiche.

Vino molto piacevole grazie ai profumi ma anche alla struttura che accompagna il sorso.

 

  • Spostandoci nella vigna più alta, a 400 mt s.l.m., assaggiamo il secondo bianco di Cà du Ferrà, “Luccicante” Colline di Levanto Vermentino DOP: 100% Vermentino. Annata 2022. 13%.

Rispetto al Bonazzolae è un vino più largo. Caratterizzato da un estratto secco più ampio, ben bilanciato dalla maggior acidità.

Al naso si sprigionano sentori di frutta più matura (le prime parcelle quest’anno sono state vendemmiate il 26 Agosto, gli acini raggiungono una colorazione bronzata).

Si sente la nota terpenica che rammentavamo durante la nostra passeggiata in collina ed una buona persistenza finale.

 

  • Ricordandoci della vista sul Mediterraneo e dei vitigni tutt’intorno, andiamo ad assaggiare il rosato “Magia di Rosa” Liguria di Levante Rosato IGP: 45% Sangiovese, 35% Vermentino Nero, 20% Syrah. Annata 2022. 13%.

Nato sull’idea dei rosati Provenzali, ecco un vino con un caratteristico colore rosa provenzale, i sentori di fragolina di bosco, fragola, peonia ed in bocca la sensazione tattile speziata caratteristiche del Vermentino Nero e del Syrah.

 

  • A concludere la gamma, il rosso “Ngilù” (dedicato al nonno Angelo) Colline di Levanto Rosso DOP: 40% Sangiovese, 20% Canaiolo, 10% Merlot, 10% Grenache, 10% Vermentino Nero, 10% Syrah. Annata 2021. 13,5%.

Per produrlo vengono fatte tre vinificazioni separate per rispettare i tempi di tutti e sei i diversi vitigni.

È colui che racchiude tutto il Viaggio nel Mediterraneo; un rosso fresco che sa di mare, caratterizzato da una scia sapida e minerale.

Si riconoscono inoltre i tannini tipici del Sangiovese, la frutta del Ciliegiolo, la speziatura del Syrah.

 

  • Ma non è finita qua, la tavola si prepara con il tipico Pandöce (Pandolce) ligure per accompagnare finalmente la degustazione del vino del Papa…il Passito Ruzzese “diciassettemaggio”. Annata 2020. 14%.

Al naso si apprezza una nota citrica, agrumata.

In bocca la dolcezza data da sentori di miele, dal frutto di dattero fresco, perfettamente bilanciati da un’elegante acidità con un curioso finale quasi sapido.

 

Abbiamo assaggiato vini diversi dove il terroir si esprime in maniera potente e delle menti e braccia sapienti e vogliose ne hanno esaltato le caratteristiche; l’intreccio di tutto ciò dà origine a vini con caratteristiche comuni: eleganza, finezza, mineralità.

 

La nostra visita è terminata ma non la nostra giornata. Il sole splende ancora alto ed il mare ci chiama. Una bella passeggiata sulla spiaggia di Bonassola ci aspetta prima di rimontare in macchina e rientrare nelle nostre case.

Come sempre ringraziamo chi ha contribuito alla piacevolezza della giornata trascorsa insieme partecipando alla gita e speriamo di aver trovato degli spunti di curiosità anche per chi solamente leggerà questo articolo.

Siamo già pronti per una nuova avventura…a presto!!

 

Testo tratto da “I Vini d’Italia giudicati da Papa Paolo III Farnese e dal suo bottigliere Sante Lancerio” (Tallone Editore)

“Il Vino Razzese. Viene dalla Riviera di Genova et il meglio è di una terra detta Monterosso et è vino assai buono. Et è stimato assai in Roma fra li Genovesi, come fra li Venetiani la Malvagia. Ne vengono in Roma piccioli caratelli. A voler conoscere la sua perfetta bontà, bisogna che sia fumoso et di grande odore, di colore dorato, amabile et non dolce. Tali vini non sono da bere a tutto pasto, perché sono troppo fumosi et sottili. Di tale vino S. S. non beveva, ma alcuna volta alle gran tramontane faceva la zuppa, ovvero, alla stagione del fico buono, mangiatolo mondo et inzuccherato, gli beveva sopra di tale vino, massime del dolce et amabile et diceva essere gran nodrimento alli vecchi. In questo luogo dove fa tale vino, usano farlo dolce sopra la vite, quando l’uva è matura col pigliare il racemolo et lo storcono et poi lo lasciano attaccato alla vite per 8 giorni, et coltolo fanno vino buono et perfetto.”

 

 

Articolo di Sara Bessi